La questione morale e la questione reale

Fu negli anni ’70 che il PCI raggiunse il massimo del consenso elettorale. Ma non riuscì a superare la linea del Piave che gli oppose una maggioranza di italiani impaurita da sempre dalla sua natura settaria. Il massimo del consenso coincise anzi con l’inizio della sua crisi: la maschera che stava cadendo dalla facciata del socialismo reale, gli immensi genocidi cambogiani, il venire allo scoperto del dissenso nell’Europa orientale, la pubblicazione di opere come Arcipelago Gulag di Solzhenitsyn, la realtà di un terrorismo domestico incubato nel proprio seno, tutto ciò spinse più o meno consapevolmente la sinistra italiana a un generale, mimetico tentativo di restyling della propria identità. Ciò era una conseguenza inevitabile dei grandi cambiamenti culturali degli anni ’60. In Occidente le masse, dopo i tempi duri e virtuosi della rinascita economica dell’immediato dopoguerra, si stavano già accomodando sulla poltrona del welfare system a raccogliere i frutti del proprio lavoro. Così un’involuzione statalista nell’arte di governo conviveva con confuse, ma profonde e generalizzate rivendicazioni libertarie nei costumi, e il bene si mischiava al male al massimo grado com’è sempre successo nei momenti di crisi di crescita. Per cui se da un lato l’Occidente visse dei momenti luminosi di autentico genio creativo, come ad esempio nel 1964 con l’invenzione della minigonna da parte di Mary Quant, alla quale almeno metà dell’umanità in salute sarà sempre grata in eterno, dall’altro vide l’imbarbarirsi della lotta politica con la crescita allarmante del militantismo di massa. Il ’68, in Occidente, soprattutto nell’Europa continentale e massimamente in Italia (l’altra Europa meridionale viveva ancora sotto regimi autoritari), fu il tentativo di impadronirsi, di egemonizzare, e di battezzare politicamente il Nuovo, spegnendone le luci sotto il tallone di ferro di un plumbeo decalogo rivoluzionario. Che è poi l’intima contraddizione dalla quale è squarciato prima o dopo il corpo di ogni rivoluzione.

Dall’urgenza di questa mimesi salvifica nacque così il quotidiano La Repubblica, il breviario della setta sedicente democratica, il patetico parto dell’Eurocomunismo – il comunismo debole e democratico europeo, ossia italiano, niente di più che una trovatina lessicale – e il lancio in pompa magna della cosiddetta questione morale. Per una sinistra che a tutt’oggi non ha saputo superare l’asticella della socialdemocrazia la questione morale è stata la continuazione del comunismo con altri mezzi, una riuscita strategia di comunicazione messa in atto dal suo ufficio di propaganda per perpetuare l’ortodossia dell’antropologia antifascista e veteroresistenziale, in primo luogo il mito implicitamente classista o razzista della propria diversità.

La questione morale è un comodo randello retorico; è come un Kalashnikov, un’arma pratica, efficace e di facile manutenzione, buona con ogni clima e sotto qualsiasi cielo. Basta vedere in ogni malaffare – altrui – il riflesso di una classe politica corrotta, indicare i colpevoli al popolo e procedere alla necessaria purificazione, rifiutandosi di coglierne i nessi con la realtà sociale e col grado di civismo della popolazione. Così, non da democratico liberale, ma da buon ideologo della democrazia, la quale si dà o non si dà indipendentemente da ogni contesto storico, in obbedienza al mito costruttivista della democrazia compiuta, Paul Ginsborg non sa vedere nel clientelismo italiano se non un difetto morale-antropologico da perseguire penalmente, e del quale rintraccia addirittura le mediterranee radici nel rapporto tra clientes e patroni degli antichi romani, forse nemmeno sospettando che anche la sua verde Inghilterra è passata per il feudalesimo, arrivando alla democrazia superando e non abbattendo il regime aristocratico, e che le clientele furono la base politica sulle quali le case gentilizie romane fondarono la più solida e progredita repubblica dell’antichità.

L’Italia, prima di Mani Pulite, non fu mai monda, e nel decennio craxiano non fu più sporca che nei precedenti. La partitocrazia, che negli anni della ricostruzione più che una studiata strategia di occupazione del potere fu il riflesso di una democrazia alle prima armi o dell’immaturità politica di uno Stato ancor giovane appena uscito dal periodo della diseducazione fascista, negli anni della glaciazione politica in Italia, specchio della glaciazione mondiale risultante dalla Guerra Fredda, si incancrenì e fu vissuta con rassegnazione. Le crepe che si aprirono negli anni ‘80 nell’Impero Sovietico smossero le acque della vita politica in Italia, e lo stesso Craxi ne fu in parte un effetto. La classe politica dovette ricominciare a conquistarsi una nuova rappresentatività presso l’elettorato: l’erosione del potere democristiano nell’Italia settentrionale da parte della Lega Nord fu in realtà in senso lato anche una grande rivolta di clientes. Essa era tanto più disprezzata in quanto i suoi privilegi e le sue esazioni non erano più nemmeno scusate dall’efficacia della sua azione di copertura politica di interessi sufficientemente generalizzati. In breve il malcostume politico – o se vogliamo esser più precisi, i suoi eccessi – era ormai solo un costo anche nella coscienza dell’elettore. Ed era, o meglio, avrebbe potuto essere il classico momento in cui matura, prosaicamente e senza fanfare etiche, il grado di civismo di un popolo.

In Italia, come il ’68 anche Mani Pulite fu il tentativo da parte di una sinistra allora in crisi quasi mortale di impadronirsi, di egemonizzare, e di battezzare politicamente il Nuovo, spegnendone le luci stavolta sotto il tallone di ferro di un plumbeo decalogo democratico, e non più apertamente rivoluzionario. Rifiutandosi ad una via d’uscita politica alla crisi dell’inizio degli anni ’90, evocata nella Grande Confessione auspicata da Cossiga ed estrema perorazione difensiva di Craxi, e privilegiando invece la via giudiziaria al potere, la sinistra è riuscita a buttare al vento quindici anni della propria storia e a perdere la partita con Berlusconi. Ora la rivoluzione sta mangiando i suoi stessi figli, con risvolti comici più che drammatici. Incerta tra la droga Veltroniana delle epurazioni predicate dal cappellano della Chiesa Democratica degli Ultimi Giorni Zagrebelsky, e la paura del Termidoro D’Alemiano, la sinistra sta vivendo le doglie del parto socialdemocratico. Il pargolo che nessuno vuole nascerà nel dolore e nel pianto, oltre che nelle risate che stanno seppellendo i protagonisti di questo melodramma: bruttino ma nascerà, necessariamente.

8 thoughts on “La questione morale e la questione reale

  1. Dal momento che è per tutti evidente che questo tanto decantato Partito Democratico così democratico non è, si è svolto a Roma un incontro per discutere di un auspicato rinnovamento (per quanto possa sembrare assurda la necessità di un rinnovamento a così poco tempo dalla sua nascita…). L’esigenza è talmente sentita che tutti i leader democratici si sentono in dovere di rilasciare dichiarazioni (tipo questa) un giorno si e l’altro pure riguardo al ruolo che il PD vorrebbe svolgere. Ma mi sa tanto che questo continuo parlarne – e mi permetto di dirlo visti i precedenti – non lasci spazio ad un’azione concreta. Sembra che un malinteso senso di opposizione politica porti il PD a pensare che l’unica azione possibile sia quella denigratoria dell’attuale Presidente del Consiglio (e di conseguenza – indirettamente – anche dell’elettorato). A quando i fatti?

  2. “Bruttino” ma anche assai cagionevole, temo. Perché proprio non vedo chi possa fargli da leader, e da leader vincente. Soru? Cacciari no, anche se è quello che preferirei tra tutti (hai letto sul Foglio di sabato la perorazione del federalismo alla Miglio?). Gli altri lasciamo perdere…

    (ah, sempre ammesso che sia necessario un leader, e un leader vincente, una volta che il berlusca si sarà eclissato e sarà tornata la nebbia sull’italica palude…)

  3. Ma siamo sicuri che l’annuncio del “lieto evento” sarà dato a breve? Io vedo un team di ostetrici impegnatissimi a ritardare e ad anestetizzare il parto…
    E comunque entrambi gli “strappi” storici che indichi giustamente come punti di svolta per la Sinistra italiana (ho scoperto che molti si risentono se manca la maiuscola redazionalmente corretta) rappresentano anche delle grandi ricoluzioni semi-incompiute, col senno di poi. Più “coito interrotto” che “parto con epidurale”, per stare alla metafora d’apertura.
    Secondo me l’unica vittima della plurisolfeggiata “mancata Riforma protestante dell’Italia” è proprio la possibilità di avere una Sinistra non inguaribilmente panteista ma “solo” gnostica q.b. Perdona il salto quantico nel discorso, ma tanto tu capisci lo stesso e tanto mi basta!

  4. Il tuo discorso vale per chi si riconosce necessariamente o in Veltroni o in Berlusconi.
    Per tutti gli altri italiani (qualsiasi sia il loro numero e credo) ambedue sono dei farabutti come lo fu Craxi e chi prima di lui.
    Il discorso sulla valenza poltico comunicativa della questione morale, cioe’ la questione strumentale, e’ altro rispetto alla questione concreta della corruzione e dei comportamenti illeciti.
    Accontentarsi della eventuale constatazione del carattere bipartizan della corruzione a essere sincero e senza offesa mi sembra il discorso di chi non guarda avanti e che non ha speranze.
    Chi sara’ il prossimo leader della ‘sinistra’?
    Nessuno..nel senso di Ulisse..ma non di quello Omerico quanto di quello Joiciano.

    p.s. caro Zamax a essere sinceri io mi aspetto l’arrivo di una dittatura (che non e’ Berlusconi in quanto oligarca alternativo agli altri oligarchi) e poi una nuova democrazia.
    Spero di assistere anche alla seconda nella mia vita.

  5. @ Vincenzillo & Ismael
    Non so quando il pargolo nascerà, ma nascerà perché non ci sono alternative. Basterà che qualcuno per disperazione o per coraggio pronunci la paroletta magica e poi ci sarà l’effetto domino. Anche l’idea balzana del partito del Nord (totalmente estranea alla filosofia universalistica della sinistra) è il segno che non si sa più dover sbattere la testa. Cosa vuole il popolo della sinistra anche se non ha ancora il coraggio di dirlo a se stesso? Essere una sinistra come tutte le altre in Europa, che non si vergogna delle bandiere rosse, ma è stanca di guerra e guarda al futuro, stanca dei salotti fintoliberisti, stanca dei figli di papà che si divertono col teppismo pararivoluzionario, stanca di puritanesimo “democratico”, stanca del danaroso socialismo municipale. In una situazione di totale e rivoluzionaria incertezza sarà un caporale a vincere la partita.

  6. @ Zag
    Al contrario io dico proprio che a sinistra ci vuole qualcuno che sappia unificarla, ma non alla maniera di Prodi, cioè sommando semplicemente i voti delle sue anime, e non con un’operazione puramente pubblicitaria come quella del PD. Insomma ci vuole un Berlusconi di sinistra che butti il cuore oltre l’ostacolo, uno di sinistra autentico senza esibite fisime “liberali” ma anche senza fobie verso gli avversari politici.
    Mi sorprende che un gentiluomo del Sud come te dia del “farabutto” a Craxi: umanamente forse era insopportabile, uno di quei bei tomi che ti fanno pesare i lunghi silenzi senza neanche degnarsi di guardarti in faccia; nel teatrino della politica si muoveva con sbrigativa energia; nel teatrino degli affari altrettanto; e con ciò? Primo, non era affatto peggiore in questo degli altri protagonisti della vita politica dei suoi anni e era forse meno ipocrita. Secondo, era abbastanza ambizioso da non usare la politica solo per il suo conto in banca, visto che il tesoro di Craxi è sempre stato una balla spaziale e ricco non è mai stato, ma aveva un qualche solido senso dello stato, nella politica estera – pur filoaraba, cioè di sinistra – sostanzialmente occidentale e nelle scelte fondamentali di politica economica (se il debito pubblico esplose negli anni ’80 non fu certo colpa esclusivamente sua; con gli altri sarebbe stato uguale se non peggio).
    Riguardo al malcostume e alla corruzione non è vero che io non abbia speranze, per niente. Ma non sono tanto fesso da fidarmi di quegli imbroglioni che profetizzano l’Età dell’Oro della Bella Politica e dell’efficacia delle palingenesi morali delle nazioni o delle classi politiche. Non sono un cinico realista ma sono abbastanza realista da sapere che la moralità pubblica ha tempi di miglioramento lunghissimi. I paladini della questione morale semplicemente non sono seri, e alla moralità pubblica in realtà non sono interessati, punto e basta, se non come trampolino per scalare i vertici del potere.
    Oddio, dittatura! E la Nuova Democrazia! Sei così romantico, così idealista che mi si stringe il cuore… 😛

  7. La supremazia morale, questa presunta pietra filosofale della sinistra, altro non è che il risvolto del fantomatico e potentissimo ‘principio di precauzione’ secondo il quale gli ambientisti – per niente figli della medesima matrice – si incaponiscono nel proibire qualsivoglia forma di energia che non sia alternativa, o millantano la cancerogenità di questo o quel prodotto; senza reali prove a supporto, ma ‘… in principio di precauzione, si sa…’. E’ così che io vedo questo abito sempre nuovo del re, che improvvisamente, come si può ormai facilmente notare, si scopre non essere poi così nuovo e nemmeno vestire molto, ed anzi lascia il regnante più spoglio di coloro ch’egli presume di superare in sfarzo. Una volta si diceva chi è senza peccato scagli la prima pietra, e questa regola vale sempre chè le cose non durano in eterno e a fare il gioco sporco si finisce prima o poi per passare dall’altra parte del motto, dove si legge chiaramente in calce ‘chi di spada ferisce’. Inevitabilmente aggiungo, non vivendo noi in un mondo di purezza platonica.
    La questione morale è una falsa questione, mancando di assunti; e i ‘giornali morali’, dove il giornalista di turno si sforza di urlare la propria e dei propri superiorità, dei semplici giornalettini, buoni forse da sfogliare al mare. Lasciamoli declamare questi giornalisti e politici superiormente antropologizzati, lasciamo che si sentano tanto grandi come un dio, che inveiscano contro le malefatte del birbante di turno dalla loro posizione apparentemente rialzata. La storia semplicemente se ne frega delle loro pretese e finirà col farli sbattere naso contro cemento, e allora noi staremo lì a margine, forti della nostra media normalità. Allora, o meglio adesso.
    Il re è morto, viva (?) il re.

  8. Sarà come dici tu. Ma di Craxi ho il pessimo ricordo di chi a diciotto anni era stato rimpinzato di speranza per poi scoprire il bluff che c’era dietro.
    E l’inizio del declino che ancora continua.
    Dittatura è un termine che si tinge ogni volta di nuovi colori. Il nero, il rosso, e via dicendo. Non è ingenuità romantica. Se noi continuamo a credere che i tempi sono necessariamente lenti per migliorare, il Paese si svuoterà sempre di più. Perchè rimanere in Italia quando gli altri vanno ad altre velocità.
    Vedi Zamax che molti tuoi amici e pensatori liberali prevedono il ritorno della socialdemocrazia.
    E cos’è Tremonti oggi se non un socialista?
    Crisi economica, meno soldi, non è la sinistra a doversi cercare un leader ma i liberali. Sta tronando lo statalismo.
    Il successo della c.d. sinistra verrà da se. Aspetta qualche altro anno di crisi economica e Berlusconi che tira le cuoia e vedrai.

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