Vitalità dell’Islam? No, convulsioni

Nel web gira una mappa che rivelerebbe i grandiosi progetti del nuovo Califfato che ha visto la luce recentemente tra Siria e Iraq. In essa è compresa buona parte dell’Africa (da quella mediterranea in giù fino all’altezza, circa, del Camerun sull’Oceano Atlantico e del nord della Tanzania su quello Indiano); la penisola arabica, la Mesopotamia, l’Iran, il Pakistan, l’Afghanistan, la Turchia, il Caucaso e parte della Russia fino al limite settentrionale del Mar Caspio, e tutta la vastissima regione turco-asiatica, fin dentro l’attuale territorio cinese; la penisola iberica; i Balcani e l’Austria. In sostanza, con l’eccezione dei paesi musulmani dell’Estremo Oriente, essa non è tanto la mappa dell’Islam al momento della sua massima espansione, ma piuttosto la somma virtuale di tutte le conquiste territoriali dell’Islam di tutti i tempi. Faremmo un errore perciò nel vedere in essa solo un folle progetto, o un sogno di Reconquista: per i fanatici dell’Isis, in profonda sintonia però con lo spirito islamico, questa mappa prima di tutto corrisponde già ora al Califfato. Se una zolla di terreno entra nel recinto dell’Islam non può più uscirne: è terra consacrata una volta per tutte. Dalla dār al-Islām non si torna indietro. Questo perché l’universalismo e il monoteismo cristiano non servirono a Maometto per distinguere la sfera civile da quella religiosa, come accadde nel pagano mondo greco-romano, ma per legarle definitivamente, per assolutizzare e rendere sacra la sfera civile, cioè la terra. Maometto ha legato i destini della Gerusalemme Terrena e di quella Celeste: morta l’una, morirà anche l’altra.

Invece il Cristianesimo, proprio perché ha purificato il concetto di sacro, ha una forte carica dissacratoria. Nell’antichità questa cosa era sentita istintivamente, e probabilmente anche oggi fuori del mondo cristiano-occidentale. Col Cristianesimo compare un Dio finalmente personale e perciò universale. Ciò implica la desacralizzazione di qualsiasi autorità terrena, e insieme di ciò che essa rappresenta, un popolo, una tribù, uno stato. Il politeismo e i sacrifici di animali (frutti di un oscuro senso di colpa) furono un percorso di avvicinamento a questa purificazione. Nello stesso tempo il monoteismo del popolo cui parlò il Dio della Rivelazione era ancora rinchiuso – come nel grembo di una madre, per così dire – nel pregiudizio etnico. La comparsa del Dio-Uomo non rinnega, ma perfeziona, completa, compie questo percorso e perciò ne abolisce i caratteri. L’uomo viene restituito alla divinità. Ancorché in esilio, egli si riconcilia con l’Essere, cui appartiene. Rimane soggetto al Divenire, alla dimensione del tempo e dello spazio, ma non ne è più schiavo. Da esso non è più assorbito. Non c’è più né Giudeo né Greco: ma questo, in senso lato, riguarda tutti i popoli, non solo Israele.

Questo non vuol dire che il Cristianesimo abbia abolito i popoli: semplicemente li ha consegnati al secolo. Il Cristianesimo non rifiuta la storia, ma dà al secolo ciò che è del secolo. La secolarizzazione (quella vera e buona) è figlia sua. E solo con la secolarizzazione si può parlare di una Legge Positiva vera e propria (anche se essa già veniva adombrata nella Legge Mosaica intesa in senso stretto, distinta dal Decalogo). L’elastico rapporto tra la Legge Morale e la Legge Positiva definisce il campo delle libertà civili della civiltà cristiana/occidentale. L’espandersi della libertà individuale, che è naturale, tende sempre ad accompagnarsi alla trasgressione e alla negazione della Legge Morale; ma lo spirito di autoconservazione della società ben presto ne frena la carica distruttiva (e in ultima analisi liberticida): non si torna indietro alla situazione precedente e il segmento di risulta di questo processo è in effetti una più grande e concreta libertà civile ma allo stesso tempo la società si trova costretta a ribadire – in coscienza – la supremazia e la necessità di un diritto naturale. E’ la sua forma di pentimento. E questo pentimento è il prezzo della sua libertà. Cosicché la società se vuole rimanere libera, volente o nolente, deve rimanere cristiana. Ma a pagare il prezzo dell’inutile trasgressione saranno sempre i cristiani; e questo è il paradosso cristiano: il mondo sarà necessariamente sempre più cristiano e i cristiani saranno sempre, in qualche modo, perseguitati.

Se vogliamo chiamare questo processo col vago nome di modernità, ebbene esso non potrà mai abbattere il Cristianesimo, perché è figlio suo, e perché solo il Cristianesimo lo può sostenere in prospettiva. Il popolo appartiene al secolo, l’individuo a Dio: essi camminano insieme nella storia. Ma l’Islam, come succede ai totalitarismi, terre promesse terrene, rifiuta la storia. La modernità lo sta piano piano uccidendo: quelle cui stiamo assistendo non sono manifestazioni di vitalità, ma le convulsioni di un mondo in agonia.

[pubblicato su LSblog]

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