Incubo sociopolitico di una notte insonne di mezza estate

Quasi un anno e mezzo fa avevo profetizzato – la profezia è un’attività nella quale mi piace spesso indulgere per una sorta di vocazione naturale e con una sorta di generoso sprezzo della prudenza, assaporandone con signorile modestia i trionfi e chiudendo un occhio e mezzo, con squisita magnanimità, sugli oracoli sballati – avevo dunque profetizzato, un anno e mezzo fa, quasi, che «il destino del M5S è quello di diventare – per quanto tempo non si sa – il nuovo partito radicale di massa della sinistra statalista e giacobina erede del PCI». Il mio ragionamento era semplice, ma forse fin troppo sensato per una banda come quella grillina, composta in gran parte, con tutta evidenza, da una massa di disturbati: dopo le elezioni, vittoriose a livello di partito anche se non di coalizione, il M5S avrebbe gettato la maschera, mostrando la sua vera natura di sinistra senza se e senza ma, mettendo in conto la perdita di una parte cospicua dei consensi ricevuti, quelli presi grazie alla retorica truffaldina del vaffanculismo erga omnes né di destra né di sinistra, che sarebbero stati però più che compensati nel medio termine da quelli guadagnati dall’Offerta Pubblica di Acquisto gettata sull’elettorato del Pd e magari pure sul partito stesso.

Così non è stato. E’ prevalso il tatticismo, cioè la furbizia dei mediocri, cominciando dalla decisione di governare con la Lega, che ha sprofondato ancor di più il movimento nell’ambiguità, e che da una parte non ha impedito che una parte del suo elettorato (quella di destra), constatasse la palpabile differenza fra la destra senza complessi di Salvini e quella reticente di qualche esponente grillino, e finisse così per preferire l’originale all’imitazione, e dall’altra creasse definitivamente diffidenza in quella parte dell’elettorato democratico pronta a traslocare fra i trionfanti grillini, e la blindasse quindi dentro una sinistra con qualche carattere visibile, vetero o liberal che fosse. Così facendo, il Movimento 5 Stelle ha offerto un’insperata ancora di salvezza al Partito Democratico, svelto a sterzare verso sinistra, a rinnegare quel renzismo cui il fatuo trasformismo efficentista e giovanilista non è bastato alle lunghe per mascherare la mancanza di un’identità riconoscibile, e a tornare a uno spirito radicale, barricadero e terzomondista che ha avuto echi anche nel giornale di riferimento, La Repubblica. Ora che l’occasione per il takeover di gran parte dell’elettorato democratico è stata persa non vedo altra concreta prospettiva per il M5S che quella di trasformarsi nel partito verde non di nicchia che in Italia non è mai esistito, cui oggi l’empito millenaristico, apocalittico, angéliste e totalitario della pseudo-religione dell’Indifferenziazione Sessuale e del Climate Change offre spazi insperati di manovra politica.

Col Partito Democratico l’ambiguità si ripropone, anche se di altro tipo, perché radicata, a differenza del caso grillino, in una storia di doppiezza genetica che non sembra conoscere l’oblio. Ho detto spesso che essendo per natura l’errore privo di coerenza e scisso in se stesso, è costretto a oscillare fra due poli contrari, entrambi fallaci. Così, senza sorpresa peraltro, abbiamo assistito nei giorni scorsi alle stucchevoli e oramai perfino morbose celebrazioni della figura di Enrico Berlinguer in occasione del trentacinquesimo avversario della sua morte, alle quali hanno partecipato, con grado alquanto diverso di entusiasmo, sia Renzi sia il nuovo segretario dei democratici Zingaretti. Ora, Berlinguer è quel freddo giacobino che solo con enorme riluttanza cercò di smarcarsi da Mosca senza per questo mai sganciarsi dall’Unione Sovietica; colui per il quale i comunisti italiani furono sempre dalla parte della ragione, e per questo fino alla morte fu antropologicamente ostile a ogni trasformazione dichiaratamente socialdemocratica del Pci, tanto più a qualsiasi svolta liberal; e che s’inventò l’immorale Questione Morale al solo scopo di evitare qualsiasi serio esame di coscienza e perpetuare, velenosamente per il nostro paese, la diversità comunista rispetto agli avversari politici, ancor di più di un tempo corrotti, disonesti, mafiosi, e fascisti per definizione. Oggi il Pd è intruppato in Europa nella famiglia socialista, esibisce allo stesso tempo l’etichetta democratica cucitagli addosso dal veltronismo farfallone e salottiero, e tuttavia venera come un santo laico il comunista Berlinguer in tutto il suo gelido e sepolcrale giacobinismo.

Guardando altrove il panorama politico è quasi altrettanto desolato. Il qualunquismo centrista, perbene e politicamente corretto, ostentante superiorità per i concetti considerati superati di destra e sinistra, sull’altare del quale il popolarismo europeo mostra di voler suicidarsi come un tempo fece la Dc in Italia, si sta avvitando in un liberalismo caricaturale, tanto aggressivo nei confronti dei principi della civiltà cristiana, quanto ostile nei fatti – in consonanza ipocrita, tacita e perbenista con la piuttosto esoterica narrazione anticapitalista di sinistra e di destra che imperversa nel mondo occidentale – ai principi della libera economia. La quale ultima non ha niente a che fare col libertinismo economico, mentre è il libertinismo dei liberal che quasi infallibilmente si sposa con lo statalismo. Il fatto che tale liberalismo abbia sposato il super-glospan della transizione energetica – con tutti i suoi folli corollari dirigistici su scala mondiale, buoni per arricchire gli amici degli amici e i boss di quella forma di socialismo chiamata capitalismo di stato, come prima aveva sposato quella finanziarizzazione dell’economia basata sulla manomissione sistematica della moneta cui dovremmo appioppare, con maggior rispetto della verità, il nome di socialismo finanziario (come ogni socialismo al servizio di una cupola) – lo dimostra ad abundantiam.

Ed inoltre, tale qualunquismo centrista, sta producendo in Italia e in Europa per reazione e successiva sedimentazione destre e sinistre altrettanto caricaturali. Il punto comune fra le tre tendenze è un fenomeno in cui si coagulano tre tendenze perniciose, declinate magari su scale diverse e diversi orizzonti: statalismo, bancocentrismo, giustizialismo. Nel caso centrista il paternalismo dirigista e antidemocratico che lo caratterizza può assumere forme sovranazionali e tecnocratiche; negli altri due, di destra e di sinistra, forme cosiddette populiste. La Chiesa Cattolica in questo quadro generale, invece di dire una parola chiara, come seppe fare ai tempi della Rerum Novarum, sembra persino brillare per demagogia e confusione: scegliete voi se ridere o piangere.

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