Le fissazioni di Tremonti

Il mondo moderno, che è smemorato e vanesio, privandosi di uno strumento che ha tenuto botta valorosamente per millenni, per spiegare i malanni della specie umana ha voluto fare a meno delle care e vecchie passioni, quei disordini o malattie dello spirito che a partire da una piccola infezione incendiano la mente fino ad ottenebrarla completamente. Eppure sappiamo di faide sanguinose cominciate per un’occhiata storta dovuta alla cattiva digestione e alimentate per decenni – voire secoli – dalla suscettibilità e l’amor proprio delle tribù coinvolte. Visto da questa saggia e antica postazione, mai trascurata dal vero filosofo, il caso Tremonti è un libro aperto.

A Tremonti è capitata la sfortuna, fatale per l’uomo privo di senso dell’umorismo, di averne imbroccata una qualche anno fa, almeno agli occhi dell’uomo della strada in cerca di capri espiatori per il recente cataclisma economico-finanziario che ha colpito l’Occidente. Lo stesso uomo che poi invariabilmente s’incammina baldanzoso per la cattiva strada quando se ne blandiscano i vizi, com’è successo nei lustri passati quando, senza mai veramente invitarlo a smettere l’abitudine di succhiare la mammella dello stato, che carica di debiti le generazioni future, gli si è indicata come surrogato la via più glamorous degli istituti di credito e della finanza creativa, la cui generosità faceva pur sempre capo alle elargizioni del Principe, in una sorta di appaltato statalismo al quale, per meglio infinocchiarsi a vicenda, gli sciagurati figuranti di questa commedia avevano dato il nome di liberalismo selvaggio. Alla fine della bisboccia, spogliato il palcoscenico degli orpelli di un mercato drogato dove non si pagavano né errori né sfortune, lo stato si è ripreso quello che aveva dato, mettendoci stavolta trionfalmente il timbro. Cieco come una talpa, ma molto sicuro di se stesso, di tutto questo il superministro non ha capito un’acca. E’ rimasto abbarbicato alla sua idea primigenia dei tempi delle esternazioni colbertiste, quando, abbagliato, e spaventato, dai grandiosi edifici barocchi che la “finanziarizzazione” dell’economia stava erigendo, intuendone oscuramente le fragili fondamenta, molto oscuramente – dalla Pizia a Nostradamus la vaghezza è un must per i più avvertiti membri delle arti divinatorie – profetizzò il redde rationem. Vide il male nel costruttivismo ideologico e nello zelo che i neoconvertiti dal marxismo al liberalismo si portavano dietro come una tara genetica; purtroppo questa visione parziale è da sempre e soltanto il frutto della mezza genialità di un pensiero conservatore-reazionario che, non credendo alla libertà dell’uomo, pur di combattere il determinismo rozzo delle ideologie progressiste si trincera sempre più in un determinismo pessimistico che nel migliore dei casi è sapiente, sottile, anche profondo; che nella società vede un organismo complesso del quale anche il più microscopico dei vasi capillari ha la sua ragione di esistere, misteriosa solo all’intelletto dell’arrogante o dell’incolto; ma che alla fine nulla propone salvo l’ibernazione del consorzio umano.

A differenza della filosofia del suo predecessore teutonico, il Tremontismo dell’Occidente si accompagna a smilzi libretti prêt-à-porter che ne hanno decretato un folgorante successo presso un pubblico più sanguigno di quello sadomasochista che riesce a sciropparsi i sermoni freddi e ancor più sommari dei Guido Rossi o dei Gustavo Zagrebelsky. L’ego dell’uomo ne è stato solleticato in maniera irresistibile ed incontrollabile. Da allora il superministro si comporta come un bambino: passa il tempo a spiare le occasione propizie, questo o quel convegno, ed a assaporare anticipatamente, nelle lunghe veglie notturne trascorse a tornire i suoi bon mots, l’effetto blasfemo e suppostamene didattico del crescendo regolare delle sue dichiarazioni. Giulio ce le sventola sotto il naso civettuolo come Wanda Osiris agitava le sue piume e le sue paillettes o come il sottoscritto cosparge di anglicismi o francesismi i suoi scritti (ma, caro direttore, io conosco la mia malattia: approfitto appunto di questa modesta tribuna come garbage can per liberarmi di queste manie ridicole e presentarmi candido come un giglio all’appuntamento col destino). Beatamente ignaro che anche il vaudeville è un genere che non disdegna e anzi reclama genio e levità, Giulio vuole a tutti costi continuare ad épater le bourgeois. Full speed ahead. Ora siamo arrivati alla riabilitazione del posto fisso. “E credete che mi fermi qui?” sembra alludere con aria soddisfatta. No, malauguratamente: ma sarebbe meglio.

[pubblicato su Giornalettismo.com]

4 thoughts on “Le fissazioni di Tremonti

  1. Ma lo sai che appena ho sentito l’esternazione sul posto fisso ho subito pensato: ecco una cosa che farà sicuramente drizzare le orecchie a zamax e lo spingerà a commentare. Ricordo infatti la tua antica diffidenza verso alcune delle maschere della compagnia di giro dell’Amor Nostro (come lo chiamano al Foglio).

    Molto interessante questa visione dal punto di vista delle passioni e del carattere. Aspetti che la visione positivistico-illuministico-deterministico-ideologica tende a non vedere o a considerare marginali nel carrozzone della politica. Come se gli uomini vi giocassero un ruolo di pura “funzione”, o come se le passioni e i caratteri fossero solo un retaggio ormai superato dall’inarrestabile progresso del mondo e, con esso, dell'”homo politicus politicus”, l’equivalente politico del “sapiens sapiens”. Invece è proprio da certe sfumature che, oggi come sempre, si rivela la sostanza.

    1. Penso che Tremonti sia più intelligente delle sue sciocche e stucchevoli battutine, simili oramai a ripicche infantili, che lui s’immagina evidentemente brillanti e provocatorie. Ha veramente esagerato e mi ha stancato. Non dimentico tuttavia che Tremonti ha i suoi meriti, avendo difeso le casse dello stato dall’assalto dei patrocinatori della spesa pubblica.

      (E grazie a Vincenzillo per l’attenzione con la quale segue il mio blog)

    1. Speranze e timori. Leggo:
      “In particolare si è concordato sulla necessità espressa dal presidente del Consiglio di coniugare e contemperare l’esigenza inderogabile del rigore, da tutti condivisa, a quella della ripresa dello sviluppo economico. Tutto ciò in coerenza con gli impegni programmatici assunti davanti agli elettori”.
      Magari. Per gli standard italiani, ci vorrà un coraggio da leoni, quasi suicida. Questo nel migliore dei casi. Nel peggiore sarà un assalto alla diligenza col trucco.

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